Luigi Tavolaccini, psichiatra da tutti conosciuto per il suo lungo impegno nei servizi per la salute mentale di Torino, è scomparso improvvisamente ieri. Dal momento in cui era andato in pensione aveva voluto tradurre lo storico appoggio dato sin dall’inizio alle attività del Centro Frantz Fanon in impegno diretto. Era diventato un operatore dell’équipe clinica, e un membro dell’Associazione.
La lunga complicità teorica e l’amicizia di sempre si erano fatte così ancora più fitte, più dense di quando, sin dal 1990, avevo potuto conoscerlo come primario del Centro di Salute Mentale a Collegno.
Luigi è sempre stato generoso, curioso, leale. Ricordo i libri che di tanto in tanto mi regalava, a nutrire quegli interessi che in me ben conosceva, e l’ironia affettuosa con la quale ha sempre accompagnato le mie avventure intellettuali, ma anche la sensibilità per i più fragili. Questo i suoi pazienti lo sapevano bene.
L’apertura teorica e l’interesse verso nuove prospettive del lavoro clinico costituiscono un segno distintivo della sua lunga carriera professionale, e contraddistinguono il suo impegno: a differenza di molti, Luigi non ha mai smesso di ascoltare i più deboli, ha saputo riconoscere fra i colleghi i più motivati, e ha sempre avuto nei confronti del potere un atteggiamento distante e insieme disincantato. La sua onestà professionale e teorica rimane un segno raro in un panorama spesso lacerato da dissidi, interessi effimeri, ipocrisie.
Se Luigi aveva partecipato con un impegno diretto negli ultimi anni al progetto etnopsichiatrico del Centro Fanon è d’altronde per una ragione precisa, che qui deve essere ricordata. Negli anni’70, in un panorama sociale e intellettuale di grandi trasformazioni, i piani ministeriali per la psichiatria avevano aperto nuovi fronti di riflessione e di sperimentazione, e diverse esperienze andavano prefigurando il mutamento radicale della legge Basaglia. Alcuni operatori avevano preso direzioni non sempre conciliabili, ma nell’insieme molti, differenze a parte, partecipavano all’impegno di non considerare più il sapere psichiatrico come ovvio o al riparo da critiche sui suoi fondamenti e le sue contraddizioni.
Luigi aveva voluto percorrere un sentiero particolare, e certo minoritario: al Sud, aveva realizzato con altri due autori una ricerca su condizioni sociali, cultura e salute mentale, una riflessione pionieristica che si inscriveva nel medesimo solco delle riflessioni condotte da Michele Risso ed Ernesto de Martino, autori ai quali Luigi faceva spesso riferimento. Naturale, dunque, che la sensibilità per questi temi lo conducesse a partecipare con interesse a un progetto diretto proprio a ripensare, in chiave critica, i rapporti fra culture, contesti sociali, istituzioni della cura e malattia mentale. A questo motivo si aggiunge la lunga pratica istituzionale, che aveva visto in Luigi un accanito protagonista della psichiatria ancorata al territorio, ai progetti di reintegrazione sociale dei pazienti, ai loro bisogni abitativi in particolare: l’idea cioè che senza uno spazio dignitoso, un territorio sentito come proprio e come tale difeso, lo stesso abitare il mondo e il linguaggio sarebbe stato difficile o impossibile per molti dei nostri pazienti. Da qui il suo impegno nel movimento delle comunità psichiatriche, e ancor più la promozione di un dispositivo diffuso di accoglienza dei pazienti psichiatrici all’interno di appartamenti disseminati nel territorio urbano: progetto che rimane uno dei suoi più preziosi contributi alla psichiatra torinese. Ragioni tutte che, per un altro verso, stanno a ricordare come il sociale e il culturale non possono mai essere disgiunti all’interno di un pensiero critico e rigoroso su ciò che è la cura della malattia mentale.
Spesso le persone sono ricordate per le cose che scrivono o fanno. Chi ha l’opportunità di conoscerle da vicino, ha spesso il privilegio di conoscerle anche nei loro gesti quotidiani, nelle loro scelte, nelle loro inquietudini, e di poterle ricordare nella loro piena umanità.
Ricordiamo Luigi con profondo affetto e infinita gratitudine per il supporto coraggioso e leale che non ha mai cessato di dare alla nostra avventura e alla nostra personale ricerca.
Roberto Beneduce e gli amici del Centro Frantz Fanon
Cordoglio del Presidente della Regione Piemonte – Sergio Chiamparino