Cronaca del presidio MISSING THE MISSION

Circa cinquanta persone si sono ritrovate martedì sera davanti agli studi RAI di Torino, in via Verdi 16. Nel via vai generale di dipendenti in entrata e in uscita dagli uffici, abbiamo atteso invano l’arrivo del pubblico coinvolto nella registrazione delle puntate di The Mission, il mondo che il mondo non vuole vedere (con i conduttori potenziali: i più accreditati al momento sembrano essere Michele Cucuzza e Rula Jebreal).
Da due settimane circa una giornalista RAI è impegnata nella “sensibilizzazione” delle Reti che si occupano a Torino di richiedenti asilo e rifugiati perché potessero offrire testimonianze, interviste e adesioni (per partecipare come pubblico al programma).
Questa richiesta non sembra aver ricevuto una risposta unanime dalle diverse realtà che operano sul territorio. Sebbene non possiamo escludere che qualcuno abbia risposto, sappiamo con certezza che i colleghi operanti all’interno delle associazioni del Comitato No the Mission e alcuni operatori del Comune di Torino hanno educatamente respinto al mittente l’invito.
Intorno alle 19,00 ci siamo spostati verso via San Massimo, dove stava arrivando il corteo degli studenti della Mensa occupata, che avevano manifestato alle 16,00 davanti alla Regione. I due gruppi si sono uniti davanti al Cinema Massimo, dove sono stati esposti alle persone e al pubblico presente per il Torino Film Festival i motivi del dissenso e della mobilitazione.

Perché non vogliamo vedere The Mission? Perché ci mobilitiamo ‘prima’ …

1. Riteniamo che coloro (e sono tanti) che pensano prematuro parlare ‘prima’ di aver visto il programma, siano assuefatti a i principi di una cultura mass-mediatica quanto mai insidiosa. La cultura del telecomando – se non ti piace qualcosa cambia canale – che lascia la ‘libertà’ di girare gli occhi quando lo spettacolo è troppo disgustoso: non pochi amici e colleghi ne sono ahimè convinti. Suonerà fuori luogo in questo contesto evocare il ‘prima’ di cui Primo Levi denunciava l’imbarazzo e la ferita ne I sommersi e i salvati (Perché non siete scappati prima? “Prima di cosa” … rispondeva Levi agli studenti che gli rivolgevano la feroce domanda). E ancora più improprio sembrerà qui ricordare che alcune donne congolesi, fuggite ‘prima’ di diventare vittime dirette delle violenze, hanno per questo ricevuto un diniego dalle nostre democrazie non potendo esibire un corpo ferito e dunque autenticamente ‘credibile’).
La domanda allora si pone: è possibile sentire – ‘prima’ che qualcosa accada, sia detto, sia mostrato – tutta la nostra responsabilità di dire e fare qualcosa? Possiamo affermare che ‘dopo’ sarà sempre troppo tardi? Che forse è già troppo tardi?
Siamo convinti che il programma non risulterà del tutto ripugnante. I suoi difensori saranno pronti domani a dire: “Vedete, tutto sommato non è stato totalmente indigesto”. In questo hanno certo ragione, i nostri occhi sono ormai avvezzi a inghiottire ogni genere di idiozie, immagini, servizi, interviste, come stomaci da maiali.

2. Non c’è alcuna operazione inedita in questa ricerca e raccolta di fondi: di originale c’è solo l’orario (la prima serata), ma né il mezzo né l’uso dei volti noti: quasi sempre vip, o presunti tali, eroi ed eroine di un’ora per una buona causa (e Dio sa quanto abbiamo bisogno di buone cause oggi!).
Il programma ricalca strategie già impiegate altrove, le stesse di cui è saturo il mondo delle organizzazioni governative e non governative, non diversamente dal turismo ‘equo e solidale’ di cui parla Žižek quando usa l’espressione “capitalismo culturale”.
Su qualunque sito umanitario si trovano esposti volti di bambini tristi o secondo i casi sorridenti e pieni di gratitudine; donne emaciate e stanche, uomini disperati accanto a qualche consumata star che diventa angelo, amico, padre o madre, più o meno a distanza.
Nella (pseudo)trasparenza del mondo di oggi, le organizzazioni si confessano sul web: delle donazioni non si spreca nulla, e ci dicono candidamente che una parte dei fondi raccolti serve per finanziare la struttura organizzativa e la stessa ricerca fondi (come a dire: donate, donate, così che io possa continuare a chiedere donazioni…).

Ma torniamo all’altra sera. Intorno alle 20,00 abbiamo capito da quale parte entrasse il pubblico (nell’attività di volantinaggio che continuavamo a fare, abbiamo a un tratto incrociato una donna che si stava recando proprio lì: l’abbiamo seguita…). Ci spostiamo così al numero 31 di via Verdi, dove la RAI, avvertita, aveva deciso di spostare l’ingresso di vip e pubblico per evitare problemi.
Siamo ora fuori dagli studi RAI …
Il pubblico italiano entra, senza particolari problemi. Un gruppo di donne nigeriane – elegantemente vestite e accompagnate da bambini e giovani uomini – discute per dieci minuti buoni con un ‘addetto alle entrate’. Forse il controllo dei nomi stranieri, così difficili da pronunciare e trascrivere, richiede più tempo … C’è una famiglia del sud-est asiatico. Qualche giovane coppia congolese, e qualche volto latino-americano…
Gli stranieri che fanno parte del pubblico-dello-spettacolo-umanitario sembrano numerosi.
L’attesa di un pubblico ‘multietnico’ ha avuto così le risposte attese: qualcuno li ha messi in contatto con i cittadini stranieri, fatto compilare le schede, e loro hanno aderito con convinzione all’iniziativa. Non poteva essere altrimenti (è questa anche l’egemonia culturale, che si insinua, seduce, convince). E noi, ostinati, continuiamo a pensare qualcosa di diverso, a sostenere che tutta l’operazione – compresa quella del reclutamento del pubblico – sia complice di una intollerabile semplificazione, di una spettacolarizzazione di problemi e sofferenze serviti su un piatto per essere consumati in fretta (altra è l’informazione, e diversa la sensibilizzazione che vorremmo). Sullo sfondo l’idea di una ricerca fondi (come non sospettare che giunga, inevitabile, l’appello a inviare un sms solidale?), a dir poco grottesca nelle sue strategie, che chissà se solo per un caso giunge poco prima di Natale.
Una precisazione rispetto alle notizie che circolano sul web da ieri sera (Radio Città del Capo, http://radio.rcdc.it/archives/mission-ci-sono-le-prime-proteste-128996/):
La mobilitazione non nasce su iniziativa della Croce Rossa Piemonte, Ente del tutto inesistente … L’iniziativa nasce da un gruppo di associazioni, cooperative, comitati e coordinamenti locali. Nessuna adesione da parte della Croce Rossa (italiana o internazionale) né di altri grandi Enti gestori della “crisi umanitaria”.

Prossimo appuntamento: 2 dicembre 2013 alle 19:00, per una lezione all’aperto in via Verdi 31 a Torino, salvo neve, pioggia o altre intemperie.

Comitato No The Mission, Costituito da cittadini e:

Associazione Frantz Fanon
Associazione Mosaico
Associazione Almateatro
Comitato ex-Moi
Coordinamento Non solo asilo
Cooperativa Sociale Progetto Tenda
Cooperativa Esserci
Coordinamento Psicologi e psicoterapeuti piemontesi, Cppp
Gruppo Abele
Gruppo di ricerca Isku Xir
Il Piccolo Cinema – Antiloco
Officine Corsare
Studenti Indipendenti, SI
Unione culturale Franco Antonicelli, UC
Ufficio Pastorale Migranti, UPM

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