Le scuole israeliane aiutano a creare una cultura militarista

Middle East Eye
Michal Zak
Martedì 9 dicembre 2014

In Israele un’educazione militarista aiuta a mantenere in funzione la macchina da guerra anche se le attuali minacce alla sicurezza sono ridotte.
Nel 2009, nel bel mezzo di un attacco israeliano contro Gaza, ho avviato un dialogo tra studenti universitari ebrei e palestinesi. L’atmosfera era accesa. Gli studenti ebrei appoggiavano l’attacco e quelli palestinesi vi si opponevano. Ciononostante sono stati in grado di discutere le diverse opinioni finché i palestinesi hanno affermato che l’esercito stava commettendo crimini di guerra. E’ stata la fine della discussione. Gli studenti ebrei, come il resto della società [ebreo-israeliana], erano in grado di affrontare differenze politiche, ma non critiche nei confronti dell’esercito. L’esercito è sacro. Criticarlo è considerata un’offesa personale.
Qual è il meccanismo che rende l’esercito in generale ed il servizio militare in particolare così sacri? Agli israeliani vengono costantemente ricordate minacce reali o immaginarie. Pertanto è semplicemente naturale che i cittadini sentano il bisogno di partecipare alla difesa del loro Paese. Ma nel 2013 l’esercito ha annunciato che la motivazione a fare il militare era in calo, ed ha ipotizzato che la ragione di questo calo fosse da ricondurre ai minori pericoli lungo i confini di Israele.
Come per qualunque altra organizzazione, lo scopo dell’esercito è di continuare a funzionare e crescere, e per questo ha bisogno di incrementare la motivazione verso il servizio militare. La semplice logica mi porta a concludere che è nell’interesse dell’esercito mantenere una sensazione di minaccia abbastanza consistente. Una delle forze che aiutano l’esercito ad incentivare la motivazione a fare il militare è il ministero dell’Educazione, che garantisce il fatto che gli israeliani vedano l’escalation di violenza come naturale.
Il brasiliano Paulo Freire, pedagogista critico, ci insegna che tutta l’educazione è politica. L’educazione trasmette sempre una certa visione del mondo e questa è allora vista dagli studenti come naturale. L’educazione militarista quindi è un’educazione politica e ci insegna a vedere le guerre e l’esercito come centrale, inevitabile e naturale. Ciò è molto importante nella società israeliana perché fare il servizio militare non è visto come un mezzo per portare avanti un certo progetto politico – al contrario è considerato semplicemente come un comportamento da buoni cittadini.

L’esercito visto come prova del nove
Questa settimana ho incontrato giovani ebrei israeliani che sono venuti a sentire una lezione sui modelli di eguaglianza tra i cittadini ebrei e palestinesi di Israele. Come sempre con i giovani, la discussione rapidamente è passata a una cosa che hanno in mente:”Se parli di uguaglianza, allora vogliamo sapere chi fa e chi non fa il servizio militare.”
L’esercito è la loro prova del nove per dimostrare senso civico e patriottismo. Ogni diciottenne è valutato attraverso queste lenti. Ho parlato loro del piccolo gruppo di ebrei che rifiuta di fare il servizio militare come forma di protesta contro l’occupazione israeliana. Si sono infuriati: “I nostri nonni e padri hanno fatto il servizio militare e sono morti per il Paese e per la sua sicurezza. E’ nostro dovere fare la stessa cosa.”
Non si soni messi a discutere con me se l’obiezione di coscienza sia una forma legittima di protesta. Ho visto davanti a me giovani intelligenti che avevano subito il lavaggio del cervello e che volevano sacrificarsi ciecamente. E’ difficile capire quanto sia militarista la società israeliana perché è una parte assolutamente banale e naturale della nostra vita quotidiana. Quando vengono turisti dai paesi occidentali la prima cosa di cui parlano sono i soldati e le armi per strada. Al contrario gli israeliani difficilmente ci fanno caso. Dopo il violento attacco dello scorso mese contro la sinagoga a Gerusalemme, molti hanno chiesto che vengano distribuite ancora più armi ai civili per la nostra “sicurezza”. C’è un livello di presenza militare che i turisti non vedono.
Quando facevo il militare, 35 anni fa, nell’ambito del mio servizio ho lavorato in un asilo. Uno dei bambini è andato dalla maestra e le ha chiesto a voce bassa:” Michal è povera?” La maestra gli ha chiesto perché [facesse quella domanda], e lui ha risposto:”Perché viene al lavoro tutti i giorni con gli stessi vestiti.” Mi è piaciuto questo aneddoto, la sensibilità del bambino, la sua interpretazione ingenua della situazione e il modo in cui l’ha affrontata. Ma all’epoca non mi è venuto in mente di considerare l’impatto che la mia uniforme poteva avere sulla psiche dei bambini, sulla loro identità e sulla loro cultura.
Un altro esempio del militarismo che si intrufola nelle nostre scuole mascherato da buona azione ha luogo durante le feste ebraiche. E’ abitudine, durante alcune delle nostre feste, preparare pacchetti con dolciumi e distribuirli ad amici e vicini per manifestare amicizia e interesse. In molte scuole i bambini piccoli sono incoraggiati a portare questi “pacchetti della cura” ai nostri amati soldati. Sappiamo che in realtà il bilancio militare copre molto bene tutte le necessità dei soldati. Questo non riguarda loro. Il messaggio è per i bambini: noi amiamo e sosteniamo chiunque dedichi la propria vita alla nostra sicurezza. Il servizio militare è una buona cosa e quando sarai grande anche tu sarai sostenuto e apprezzato.
Pochissimi genitori vedono come un problema questa tradizione e ancora meno osano dire all’insegnante che non vogliono essere partecipi di questo sottile militarismo. I pacchetti per i soldati e le giovani donne in uniforme che svolgono faccende quotidiane, come suonare con i bambini ed aiutarli nei loro compiti a casa, sono potenti aspetti della socializzazione perché sono parte della routine quotidiana. Ma non ci si limita a questo.

“La preparazione per un servizio importante “
Nelle scuole ebraiche (e druse) il ministero dell’Educazione promuove un programma di tre anni dedicato alla “preparazione per un servizio importante “. Questo programma è stato approntato in collaborazione con l’esercito ed è in parte sponsorizzato da quest’ultimo. Se gli diamo un’occhiata possiamo notare che le scuole dedicano tempo e impegno per promuovere quello che chiamano “valori di un’importante contributo per lo Stato e per la società.” Importante contributo è messo in relazione con il senso civico, che a sua volta riguarda il sacrificio e l’eroismo. In questo contesto “sacrificio”, in gran parte, ha a che fare con la violenza e la morte.
Tuttavia il programma è formulato in un linguaggio asettico che raramente fa diretto riferimento alla violenza e alla morte, soprattutto non alla violenza e alla morte perpetrate dagli soldati stessi. Sembra proprio che le scuole stiano lavorando a favore dell’esercito per preparare, informare, motivare e supportare i soldati di domani.
Il programma informa e prepara gli studenti all’iscrizione, ai colloqui e ai test dell’esercito. Lo presenta con le opportunità offerte nell’esercito, li aiuta a scegliere un’unità e li sostiene dal punto di vista emotivo e morale. Gli insegnanti svolgono il programma con l’aiuto di ufficiali che vanno nelle scuole e di soldati che accompagnano gli studenti e si occupano delle loro necessità.
Nelle scuole israeliane ebraiche molti insegnanti sono donne, aggiungendo un altro livello di “normalità” alla cultura militarista maschile. Scuole con una bassa percentuale di studenti che fanno il servizio militare hanno un bonus: una settimana in un campo dell’esercito. Questa esperienza di addestramento militare è il momento saliente della preparazione. Il suo scopo è di incentivare la motivazione a fare il militare e incoraggia gli studenti a scegliere un servizio “impegnativo”, un eufemismo per spingerli ad arruolarsi nelle unità di combattimento.
Il programma di preparazione all’esercito deve essere inquadrato nel contesto. Negli ultimi tre anni delle superiori, il programma della scuola ebraica comprende importanti temi di carattere sociale, come l’abuso di sostanze e l’uguaglianza di genere. Il programma include anche lo studio dell’Olocausto e un viaggio in Polonia. Questo tour speciale nei campi di concentramento e nei luoghi delle comunità ebraiche che sono state distrutte è molto più di un viaggio storico. I percorsi sono iniziati alla fine degli anni ’80, uniscono obiettivi di carattere storico, morale ed educativo, e sono definiti come “ebraici-israeliani-sionisti e universali”. Due ministri dell’educazione progressisti, che temevano che questi viaggi esasperassero i valori e i comportamenti nazionalistici, aggiunsero gli elementi universali al programma negli anni ’90.
Una ricerca (Kimhi, 2011) ha messo a confronto gli atteggiamenti dei partecipanti prima e dopo questi viaggi, e dimostra che i viaggi hanno accresciuto l’orgoglio dei giovani e l’amore per il loro Paese. Come risultato del viaggio sono meno portati a volersene andare da Israele. in una certa misura esso ha anche rafforzato i valori universali, rendendoli più sensibili verso i diritti dei gruppi minoritari o almeno verso i diritti di gruppi minoritari di altri Paesi. Per quanto riguarda Israele, dopo il ritorno dalla Polonia tendono ancor più a vedere gli arabi come una minaccia. La ricerca ha rilevato che il viaggio in realtà accresce la loro convinzione che bisognerebbe togliere diritti ai cittadini arabi di Israele.
La preparazione per l’esercito è di conseguenza connessa con questo profondo e piuttosto manipolatorio viaggio di studio. Non c’è da sorprendersi che le stesse scuole che hanno la tendenza a mandare i propri studenti in Polonia mostrino anche una notevole motivazione [da parte dei loro studenti] ad arruolarsi e a fare il servizio militare. Questi due programmi educativi fanno in modo di garantire che la motivazione a fare il militare non diminuisca ulteriormente.

Un barlume di speranza
Ho iniziato descrivendo quanto sia naturale e centrale in servizio militare nelIa cultura israeliana. Comunque solo il 50% di quelli che sono obbligati a fare il militare in realtà si arruolano, in buona misura per via della comunità ebraica ortodossa, che ha pochi motivi per arruolarsi e che fino a poco tempo fa era esentata dal servizio militare, e dei giovani dei gruppi socio-economici bassi, che l’esercito non vuole. Nel 2020 metà dei cittadini ammessi al voto per il parlamento israeliano saranno arabi ed ebrei ortodossi, due comunità che non fanno il servizio militare. Sarà interessante vedere come queste caratteristiche demografiche influenzeranno il dibattito pubblico, le politiche ed il militarismo dello Stato.
E’ chiaro che quelli che fanno il servizio militare, i giovani della classe media ed alta, hanno ridotte possibilità di mettere in discussione le proprie scelte. La pressione su di loro è enorme. La motivazione è diventata un problema a causa della crescente cultura capitalistica che incoraggia i giovani a pensare di più ai propri vantaggi individuali e meno a quelli collettivi. Questa è la ragione per cui lo Stato, attraverso il ministero dell’Educazione, si sta impegnando così tanto nel far aumentare la motivazione. Le scuole e gli insegnanti progressisti, come i ministri progressisti degli anni ’90, sono preoccupati ma non abbastanza coraggiosi. Il massimo che hanno fatto è stato aggiungere valori universali al processo di preparazione [al servizio militare]. Nessuno ha osato sfidare il processo nel suo complesso.
Voglio terminare con una storia di ribellione che, insieme alle proiezioni demografiche, offre qualche speranza.
Quando una delle mie figlie ha annunciato alla sua scuola superiore progressista che non avrebbe fatto il servizio militare, i suoi insegnanti l’hanno invitata ad un colloquio a quattro occhi. Erano preoccupati per lei e volevano sapere se avesse preso quella decisione da sola o se fosse stata sottoposta a pressioni e ad un lavaggio del cervello affinché si rifiutasse [di fare il servizio militare]. Senza esitare, lei ha chiesto agli insegnanti se intendessero invitare uno alla volta gli studenti per una simile discussione allo scopo di essere sicuri che essi avessero deciso di andare a fare il militare in modo autonomo o avessero subito pressioni per scegliere il percorso militare come il proseguimento naturale della loro vita.

Michal Zak è un’educatrice politica, esperta nel dialogo Ebraico-palestinese e residente nella comunità palestino-ebrea di Wahat al Salam-Neve Shalom in Israele
Le opinioni espresse in questo articolo riguardano l’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
(traduzione di Amedeo Rossi)

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