Negli ultimi anni il campo etnopsichiatrico si è andato notevolmente sviluppando e i suoi concetti chiave – “efficacia simbolica”, “memorie incorporate”, “lutto culturale”, “destorificazione istituzionale”, “competenza culturale” – hanno promosso originali ambiti di ricerca e di dialogo, sebbene siano stati spesso oggetto di malintesi, banalizzazioni o abusi. Più in generale, le sue pratiche hanno conosciuto violente controversie là dove il patrimonio di ricerche accumulato nel corso degli studi condotti in società non occidentali sulle psicoterapie tradizionali, gli immaginari religiosi, i culti di possessione, le farmacopee locali è stato applicato, a partire dagli anni ’60 e ancor più dalla fine degli anni ’80, ai contesti migratori.
Un’autentica fibrillazione epistemologica si è allora prodotta per il convergere del rinnovamento metodologico dell’antropologia e dei suoi modelli teorici da un lato (la crisi delle nozioni di etnicità, di identità, di cultura), della clinica psichiatrica e della psicoterapia dall’altro (il dibattito sul trauma e il PTSD, la critica sulla proliferazione diagnostico-farmacologica e le derive del DSM- V, la frammentazione degli ambiti della cura con il suo prevedibile corteo di esperti del trauma, dei disturbi alimentari, dei disturbi da dipendenza…).
L’etnopsichiatria della migrazione si situa di fatto lungo una duplice cerniera: epistemologica (interna ed esterna alle discipline che la costituiscono) e politica (i nodi della migrazione e della cittadinanza, i diritti dei richiedenti asilo, lo spettro della violenza di Stato). Consapevole della sua genealogia storica, concepita come etnopsichiatria “critica” e non come mera declinazione di mal poste domande sul rapporto fra malattia mentale, cura e cultura, essa milita per una riflessione incessante sui modelli e i presupposti che l’hanno ispirata. L’etnopsichiatria è anche il riflesso particolare delle incertezze e dei mutamenti delle società contemporanee, del dibattito inesausto su nozioni come Soggettività, Potere, Alterità, Riconoscimento, e insieme interroga – da una posizione privilegiata – gli enigmi della sofferenza e della cura, dell’identità e della differenza, della cultura e dello psichismo.
L’Associazione Frantz Fanon prosegue la sua riflessione su questi temi e promuove in particolare due gruppi di lettura e di approfondimento rivolti ad opere e autori che, più di altri, hanno testimoniato il valore cerniera di questo sapere e il dialogo disciplinare che lo nutre.
Pensare lo psichismo e le sue ferite dentro il tempo della Storia, fra ombre private e incubi collettivi. Immaginare la cura della sofferenza come indissociabile da quella della Storia. Giungere sino alle soglie dell’utopia: quella di un uomo nuovo…Pochi autori hanno intrapreso una simile avventura. Dalle nevrosi degli “évolués” alla critica radicale della psichiatria coloniale, dal confronto con con i giganti della filosofia (Hegel, Merleau Ponty, Sartre) al duello con la psicoanalisi di Freud e Lacan e i suoi esperimenti in Africa, da una lettura quanto mai lucida e spietata del razzismo e delle sue ragioni inconsce all’impegno come psichiatra nell’Algeria coloniale e alla militanza nel FLN. Comprendere e “misurare” il lavoro teorico e politico dispiegato da Fanon in poco più di dieci anni costituisce peri suoi biografi un autentico enigma. La sua riflessione si situa dentro una congiuntura storica particolare, fatta di transizioni e mutamenti radicali. Fanon esprime però, a partire da un profondo lavoro su di sé, la consapevolezzadi una lotta ben più complessa: quella interiore, e di una decolonizzazione epistemologica che si annuncia sempre incompiuta, sempre parziale. E tutto ciò a rendere il suo pensiero uno strumento imprescindibile per pensare le contraddizioni del presente e i nuovi orizzonti dell’etnopsichiatria. Fanon e le prospettive teoriche che la sua opera ha contribuito a disegnare offrono infatti un approccio quanto mai originale per riflettere sui nodi della postcolonia e gli scenari dentro i quali concepire i problemi della cultura e della migrazione, del legame familiare e dell’individuo nelle società postcoloniali, delle inedite forme di soggettività che vanno esprimendosi, delle questioni del razzismo e delle sue oscure incarnazioni. Gli incontri prevedono la lettura dei testi di Fanon a partire da Pelle nera, maschere bianche sino agli scritti più propriamente psichiatrici (1951-1959), nonché degli autori contemporanei con i quali le sue opere intrattengono oggi un dialogo serrato sui temi del razzismo, della sessualità, del desiderio, dell’alterità, del trauma. Gli incontri saranno 6 e si terranno una volta al mese, il venerdì, presso la sede del Centro Frantz Fanon in via San Francesco d’Assisi 3 a Torino, dalle ore 18,30 alle ore 21,00. Primo incontro 31 gennaio 2014. Saranno condotti da Roberto Beneduce.
Riflettere oggi sulle costellazioni dei legami familiari, sui vincoli di parentela e sulle grammatiche affettive che dentro queste reti sociali si articolano e declinano in modo sempre originale, implica reinterrogare le relazioni filiali: (ri)aprire la questione del triangolo mamma-papà-bambino per come l’avevano posta Deleuze e Guattari nel 1972. Tornare dunque a Freud passando per Fanon. Se dobbiamo infatti a Malinowski l’aver saputo spostare su altri miti dell’origine l’Edipo pensato dal fondatore della psicanalisi – merito che tardivamente gli verrà riconosciuto con il Lacan de “I complessi familiari nella formazione dell’individuo” – è Frantz Fanon che svela il profilo più propriamente politico dell’Edipo, collocandolo dentro le maglie strette della logica Schiavo-Padrone. Chi è un bambino (nero)? Chi è una madre (schiava)? Chi è un padre (battuto dal colono)? Eco di altre lacerazioni psichiche a lui contemporanee, Fanon è interessato a piegare la psicanalisi dentro una clinica del reale coloniale e dei i suoi luogotenenti (sfruttamento, soppruso,violenza). La relazione genitoriale sarà letteralmente fatta a pezzi: correrà di lì in poi l’obbligo di pensare la storia della famiglia tra “complessi culturali” e “complessi coloniali”, congiuntamente. L’esperienza clinica ed etnografica ci hanno in questi anni insegnato a riconoscere simili linee di rottura nelle famiglie immigrate, ad ascoltare i silenzi che si sedimentano tra le generazioni intorno all’impensato della migrazione: delle sue spinte ma soprattutto dei suoi smacchi; a denunciare infine gli abusi dei Saperi e delle Istituzioni deputate le prime a valutare, le seconde ad accogliere e curare genitori e figli. Questi nemici usciti dal ventre delle loro madri (e dei loro padri) sono lì a ricordarci che non tutte le famiglie funzionano secondo la buona e vecchia regola dell’Edipo. Il ciclo di incontri convergerà principalmente sulla lettura de L’anti-Edipo di Deluze e Guattari (1972). Si chiede ai partecipanti di portare il testo durante gli incontri e di leggere le parti su cui mensilmente si lavorerà. Gli incontri saranno 6 e si terranno una volta al mese, il venerdì, presso la sede del Centro Frantz Fanon in via San Francesco d’Assisi 3 a Torino, dalle ore 18,00 alle ore 20,30. Primo incontro venerdì 17 gennaio 2014. Saranno condotti da Simona Taliani.