Solidarietà a Mohamed Shahin: Il Governo Vuole Zittire la Lotta per la Palestina!

L’Associazione Fanon denuncia l’arresto e la minaccia di espulsione di Mohamed Shahin: una chiara volontà politica per reprimere il dissenso.

Abbiamo appreso con sdegno e profonda preoccupazione dell’arresto di Mohamed Shahin, da sempre in prima linea nella lotta per la liberazione della Palestina. Mohamed è stato prelevato, arrestato e condotto in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) a Caltannissetta. L’azione intrapresa dal governo è di una gravità inaudita. A Mohamed è stato revocato il permesso di soggiorno di lunga durata e imposta una deportazione immediata verso l’Egitto. Tutto questo avviene dopo due anni in cui Mohamed non ha mai smesso di esporsi pubblicamente e coraggiosamente contro il genocidio in corso in Palestina.

Le motivazioni del Ministero per giustificare il decreto di espulsione, secondo quanto riporta l’agenzia Adkronos, indicano che Mohamed Shahin avrebbe ”un ruolo di rilievo in ambienti dell’Islam radicale, incompatibile con i principi democratici e con i valori etici che ispirano l’ordinamento italiano”, ed ”è messaggero di un’ideologia fondamentalista e anti-semita” essendosi anche reso ”responsabile di comportamenti che costituiscono una minaccia concreta attuale e grave per la sicurezza dello Stato” indicano tre pericolosi passaggi. Il primo è quello della “radicalizzazione”, un termine che ha alimentato infinite ricerche accademiche e inutile dispendio di fondi, concentrandosi unicamente sulla radicalizzazione reale o presunta del mondo musulmano, dimenticando però stranamente la temibile radicalizzazione della destra fascista e suprematista internazionale, quella dei movimenti cristiani negli Stati Uniti, o quella all’origine della repressione militare operata al di fuori di ogni regola internazionale. Le centinaia di migliaia di civili uccisi in Iraq e Afganistan senza alcuna ragione se non quella di instaurare uno stato di terrore e mantenere il controllo geopolitico, i numerosi assassini extragiudiziali compiuti da governi come quelli di Turchia, Israele, Russia, o la carneficina attuata in acque internazionali dall’amministrazione Trump, non sembrano avere l’onore di venir definite come esempi di “radicalizzazione”.

Il secondo passaggio è quello dell’ideologia “antisemita”: in questo caso si cerca di servire come ovvia l’equazione fra più che legittima critica del sionismo o di un governo il cui primo ministro è stato accusato dalla Corte Penale Internazionale di crimini di guerra e contro l’umanità, e “antisemitismo”, equazione volgare che tende a criminalizzare ogni opinione e ogni critica e che preannuncia un’ulteriore accelerazione fascista nelle politiche di questo governo.

Infine, il richiamo alle questioni securitarie: litania all’origine di devastanti politiche di controllo sociale e di una non meno inquietante militarizzazione delle nostre frontiere: ciò che prova a fare perdere di vista che la vera e sola lotta per la sicurezza e la pace sociale è quella contro le disuguaglianze nazionali e planetarie, quella che garantisce a ogni persona i suoi diritti, quella che promuove senso di appartenenza e di fiducia nelle istituzioni anziché condizioni di precarietà e sentimenti persecutori.

Rivendicare il diritto all’autodeterminazione non è un reato. La lotta per l’autodeterminazione dei popoli è legittima e riconosciuta dalle Nazioni Unite come un diritto inalienabile.

Coloro che sono stati definiti “dirigenti terroristi” (come Amílcar Cabral, in Guinea Bissau) sarebbero diventati capi di stato ed eroi dell’indipendenza nazionale. Quelle che erano state indicate come “organizzazioni terroristiche” (così erano state chiamate le infrastrutture della guerriglia guidate da Ho-Chi-Minh) avrebbero liberato il Vietnam dall’invasione statunitense. E identica retorica fu utilizzata dal governo francese per giustificare la tortura, gli stupri e la repressione della lotta anticoloniale in Algeria. Lo stesso giudizio è stato ripetuto in Sud Africa nei confronti dell’ANC e di Nelson Mandela, etichettato come “terrorista” dagli Stati Uniti, e poi premiato poi con il Nobel per la pace… Chi oggi ignora la storia e le ragioni dei popoli oppressi, sarà condannato domani ad essere definito per quello che è: un fascista, un colonizzatore. Ribelliamoci al potere arbitrario di definire il mondo, i comportamenti, o quali sono i “paesi sicuri”.

La destinazione scelta, l’Egitto, è un paese in cui Mohamed Shahin non può assolutamente tornare. Il regime dittatoriale di al-Sisi, da lui ripetutamente denunciato per corruzione e per il suo esplicito sostegno allo Stato colonialista di Israele, lo esporrebbe a un rischio concreto e documentato di arresto, tortura e detenzione a vita. La tragedia di Giulio Regeni, e l’ipocrisia della ragion di stato, dovrebbero ricordarci che cosa è l’Egitto. Nonostante la sua richiesta di asilo politico, il giudice ha confermato la deportazione, ignorando ogni evidenza del pericolo reale che Mohammad correrebbe. Questa decisione è inaccettabile e calpesta ogni principio di umanità e diritto internazionale.

Siamo convinti che l’arresto e la minaccia di espulsione di Mohamed non siano un caso isolato, ma una chiara volontà politica: quella di fermare chi in questi anni si è mobilitato con coerenza e coraggio contro il genocidio in Palestina. Mohamed Shahin è stato preso di mira non solo per il suo instancabile impegno politico, ma anche perché Imam di una moschea di Torino. Ancora una volta, la propaganda islamofoba viene usata come strumento vile per zittire chi alza la voce, chi rifiuta di abbassare la testa di fronte alle atrocità. Mohamed non ha mai accettato di restare in silenzio di fronte a oltre due anni di massacri, e per questo oggi viene punito con l’arresto e la minaccia di essere consegnato a un regime dittatoriale.

L’Associazione Fanon esprime la piena, totale e incondizionata solidarietà a Mohamed Shahin e alla sua famiglia. Non lasceremo solo Mohamed! La sua lotta è la nostra lotta, la sua voce è la voce di tutti coloro che credono nella giustizia e nella liberazione della Palestina. Chiediamo l’immediato blocco della deportazione e il rilascio di Mohamed Shahin.

Fermare la deportazione è un imperativo di giustizia e democrazia!

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