In/desiderabili (per chi?)

Giovanni de Mauro giustamente ricorda (nel numero 1021 de l’Internazionale) che alcuni autori hanno definito “industria della clandestinità” l’apparato di sicurezza disposto dalle politiche europee in materia di migrazione. Michel Agier (già membro del consiglio d’amministrazione di MSF-France) è tra coloro che hanno denunciato negli ultimi anni un altro dispositivo: “l’industria dell’umanitario”, complice delle politiche compassionevoli che accorrono e soccorrono a condizione che gli “indesiderabili” rimangano nella posizione di vittime, si facciano vittime (“richiedenti” sì, ma in modo docile e remissivo). Chi lavora tutti i giorni con quegli immigrati che hanno sfidato il Mare Nostro e le nostre politiche dopo essere fuggiti alla violenza di milizie, governi, trafficanti, sanno che la categoria di “vittima” aggiunge poco alla comprensione dei loro destini, e ha il solo ‘vantaggio’ di ricordare che la loro condizione continua ad essere incerta ed esposta, anche nell’Europa dei diritti e dell’accoglienza. I sentimenti umanitari hanno mobilitato negli scorsi decenni azioni e risorse enormi, ma hanno spesso accresciuto il caos nei paesi in cui tali azioni – azioni di guerra in molti casi – sono state realizzate. Le politiche umanitarie continuano oggi, in Europa e in Italia, ad intrecciarsi con le complesse trasformazioni economiche e politiche della globalizzazione e del neoliberalismo. Da un lato il ritrarsi dello Stato nella gestione di questi problemi, dall’altro la delega e la crescita massiccia del ruolo economico (e politico) di attori ed associazioni spesso operanti al di fuori di ogni controllo: è la “NGO-ization” (ONGizzazione) di cui parlano gli esperti, la cui crescita proprio sul terreno dell’umanitario è stata esponenziale. Il denaro bypassa sempre più frequentemente lo Stato giungendo direttamente a ONG, associazioni e gruppi, ma gli esempi, numerosi nel mondo, mostrano che grazie a questa “maschera” i governi continuano ad esercitare il loro potere decidendo come orientare la distribuzione dei fondi.

In queste tremende ore che non passano, è urgente dunque vigilare e pensare a chi questi “indesiderabili’ potrebbero giovare: di quale tragico gioco le loro vite e i loro bisogni rischiano di restare prigioniere, di quale organizzazione umanitaria, pronta a sfoderare la categoria dell’emergenza, diventeranno la preda. E intanto si attende una legge.
Gli interventi a favore di richiedenti asilo ed immigrati è uno dei pochi frammenti di Stato sociale che ancora opera nelle nostre democrazie neoliberali. Si sostengono servizi per la popolazione rifugiata, ma a patto che sia ‘sofferente’ e ‘traumatizzata’, mentre crescono come i funghi d’autunno presidi medici, servizi psicologici, strutture di accoglienza gestite da non si sa chi, e cooperative del terzo settore si riconvertono nel giro di una notte, avendo compreso che questo mercato della disperazione renderà disponibili nuovi finanziamenti da dividere e consumare.
Sono ormai numerosi gli studi che hanno dimostrato come i maggiori beneficiari di questi flussi economici siano proprio le ONG e le altre espressioni della “società civile”, il cui numero si moltiplica in modo grottesco non solo nei paesi tradizionalmente oggetto di interventi umanitari ma anche in Occidente.
Questo denunciano i richiedenti asilo che hanno ricevuto lo status di rifugiato o la protezione umanitaria, o le giovani vittime di tratta. Questo lamentano le donne africane che, salvate dallo sfruttamento delle madame, quando divengono madri vedono i propri figli dati in affidamento o peggio in adozione perché il giudizio di questo o quell’operatore le ha classificate come madri “non abbastanza buone” per educare e proteggere i loro bambini. Purtroppo non c’è una cassa di risonanza per le loro lotte quotidiane, lotte rivolte a esercitare diritti autentici, a prendere finalmente la parola e uscire da forme di assistenza erogate a condizione che si lascino nominare e addomesticare dalle nostre categorie psicologiche e politiche.
Una cittadinanza sempre provvisoria, sempre esposta alla minaccia di essere sospesa, quella che lo Stato neoliberale offre a questi stranieri.
E mentre altri arrivano in queste ore, fuggendo dalle coste in fiamme del Mediterraneo, comparirà all’orizzonte, di certo, una nuova organizzazione dell’umanitario pronta a saccheggiare i fondi che il Governo si affretterà ora a erogare.
A questo “carnevale umanitario” si potrebbe ben partecipare tutti, e dare così una mano a tanti giovani italiani disoccupati, poco importa quale sia il grado della loro competenza di fronte a vicende e bisogni così complessi.
Si potrebbe, ma alcuni preferiscono di no.
La tragedia intanto continua, e la buona fede, come sempre, è colpevole.

Simona Taliani e Roberto Beneduce
Università di Torino & Associazione Frantz Fanon
Torino

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