Cari amici,
in questo periodo dove l’Umanitario (con tutti i suoi brands ben in vista) si affanna nelle campagne di raccolta fondi, offrendo colorati gadgets dietro ‘vetrine’ e ‘profili’ allestiti a festa, restiamo ostinati nell’andare in direzione contraria e controvento, non ignari dei rischi e dei sempre possibili naufragi.
Ma siamo ancora qui. Il Centro Frantz Fanon è aperto e lo sarà per tutto il 2015.
A voi, dunque, che tanto ci avete sostenuto in questi anni – partecipando alla vita attiva di un luogo prezioso da troppi punti di vista – tre piccoli doni con l’augurio che l’anno che verrà sia più sereno di quello che è passato.
Per tutti coloro che vivono una condizione di quotidiana e permanente incertezza e paura, il nostro pensiero più intenso e la nostra lotta più serrata.
22 dicembre 2014
Oggi, lunedì 22 dicembre, vogliamo ricordare la storia di Raymond Gurême, dello Porrajmos e della violenza che si abbatte ancora oggi contro Rom e Sinti in Europa.
Interdit aux Nomades di Raymond Gurême è stato tradotto in italiano nel 2012, con il titolo (non troppo fedele all’originale) Il piccolo acrobata.
Jean Baptiste Pellerin ha realizzato il film Ils ont eu la graisse, ils n’auront pas la peau. Clicca qui
Altri links di approfondimento:
http://www.humanite.fr/raymond-gureme-les-mots-seront-toujours-plus-forts-que-les-coups-555111
http://romareact.org/news/view/2086
http://blogs.mediapart.fr/blog/dzfestival/210813/raymond-gureme-lhomme-revolte
23 dicembre 2014
Un bellissimo film del 2014 che vi invitiamo caldamente di vedere!
PELO MALO, di Mariana Rondon
Dedicato a tutti coloro che sono alla ricerca di una identità senza pregiudizi né ‘determinismi’… e alle loro madri (inquiete, feroci e a tratti voraci).
25 dicembre 2014
Concerning Violence. Nine scenese from the Anti-Imperialistic Self-Defense (2014), di Göran Hugo Olsson
“L’explosion n’aura pas lieu aujourd’hui. Il est trop tôt… ou trop tard”. Così esordiva il primo libro di un giovane Fanon, Peau noire, masques blancs. “Sulla violenza” è invece il titolo del primo capitolo del libro pubblicato nove anni dopo, nel 1961 (I dannati della terra), scritto nell’inferno coloniale e imbevuto del fragore delle lotte per l’indipendenza: quell’indipendenza che l’Algeria avrebbe conquistato al prezzo di un milione di morti e ferite mai del tutto cicatrizzate l’anno dopo.
Il film Concerning Violence. Nine scenese from the Anti-Imperialistic Self-Defense, diretto da Göran Hugo Olsson e narrato da Lauryn Hill, trae ispirazione dal testo di Fanon, dalla sua implacabile diagnosi sulla “nuda verità del colonialismo”. Le parole dello psichiatra martinicano scandiscono la successione dei materiali d’archivio (l’attacco ad una base portoghese in Angola; uno sciopero di minatori in Liberia; l’operazione chirurgica nella giungla della Guinea Bissau di un guerrigliero ferito; l’intervista a un bianco nell’allora Rhodesia – l’attuale Zimbabwe, e a un giovane Mugabe, l’attuale presidente e dittatore…).
Scene di violenza, di morte e di lotta che sembrano già profezie di altre violenze, di altre morti. La storia della decolonizzazione (e della nazione postcoloniale) sarà scritta con l’unico inchiostro possibile: il sangue. Ma hanno sbagliato coloro che – da Sartre a Arendt – hanno visto nel testo fanoniano solo un inno alla violenza legittima dei colonizzati. Rivolto ad esplorare il nodo del dominio e dell’alienazione, Fanon aveva colto tutta la tragedia degli oppressi quando essi sono indotti all’uso della violenza come alla sola strategia possibile contro il silenzio, l’ipocrisia e la violenza assoluta dei colonizzatori. Lo ha detto Alice Cherki, psicanalista che aveva lavorato con Fanon in Algeria, lo ripete oggi nell’intervento che precede il film Gayatri Chakravorty Spivak, personaggio centrale del dibattito postcoloniale. E che questa violenza necessaria sia anche tragica lo dimostra oggi la sua riproduzione cieca, quando alla fredda tecnologia di morte dei droni si oppone quella barbara e ripugnante delle teste sgozzate.
Se la “decolonizzazione è disordine assoluto” (Fanon), quel disordine è lungi dall’essere cessato. Il film, straordinario nella costruzione delle sequenze, non è però solo un invito a riflettere sul senso della violenza dei colonizzati, o l’inspiegabile pazienza che con la quale essi sembrano tollerare l’intollerabile prima dell’esplosione, ma anche una domanda sul presente, i suoi incubi, sull’ostinata presenza della colonia nel mondo di oggi (in Palestina, ad esempio), e di una differenza che rende diverso persino il peso dei morti. (Roberto Beneduce)