La briccona divina

In memoria di un’amica e compagna di tante avventure, feroci lotte e qualche importante battaglia vinta.

Non penso si sia mai declinata al femminile l’espressione del trickster, di quel briccone divino di cui Manuela Tartari si era occupata a lungo nella sua vita di pensatrice tra i saperi, esploratrice acuta e ironica dei loro confini, non meno che delle loro lacerazioni e ferite: che a chiamarlo solo astuto o maldestro imbroglione si perderebbe in comprensione e soprattutto in slancio vitale. In un lavoro che lei dedica al trickster, figura che chissà non le fosse diventata cara oltre che per le care letture (Radin, Jung, Kerényi) anche per quel viaggio tra i Cuna da cui molto ha avuto inizio in termini di umana amicizia e di profonda conoscenza (con Carlo Severi, Gabriella Airenti e altri ancora); in questo lavoro che dedica al trickster, Manuela si rivolgeva ai più giovani, concludendo con queste parole la sua analisi:
“Credo che spetti ai giovani questo compito [quello di oltrepassare i limiti della coscienza e della conoscenza], anche perché loro non hanno esperienza dei limiti, quelli del corpo, della mente, delle relazioni, del dolore. Noi che siamo più vecchi abitiamo già troppo vicino ad uno di quei limiti per poter ancora desiderare di spingerci oltre”.
Vogliamo pensare a lei oggi come quella giovane che continuava a spingersi oltre, capace di trascinare con sé tutt* coloro che incontrava, ben oltre i limiti dentro cui gli anni dell’accademia e dell’abitudine del lavoro nelle Istituzioni spesso imprigionano. Manuela era ancora dentro questo incredibile slancio vitale: non arretrava e non permetteva che si arretrasse di fronte alla riflessione teorica, all’impegno etico, al ripensamento del setting e delle condizioni per un vero incontro con l’Altro. Vogliamo pensare che non ce ne vorrà se dunque la pensiamo come una meravigliosa briccona divina, con cui vogliamo continuare a percorrere cammini di ricerca e analisi perché di cose da fare ce ne sono ancora tante e lei stava, su tutte, pensando. Sarà stata certamente stanca, ma non lo dava a vedere. A qualche amico o amica più cari avrà confidato di certo la fatica di questo stato di allerta costante.
Come quando alzava la testa dal suo tablet, leggermente reclinata da un lato, e tirava una boccata d’aria dal suo totem moderno: l’attimo della pausa – una carezza ad uno dei suoi gatti – e la ripresa successiva repentina.

Manuela non faceva parte né dell’Associazione né del Centro Fanon, almeno non ufficialmente. Con alcuni di noi l’amicizia e la stima erano consolidati dal tempo (Roberto ricorda la recensione al suo Il sorriso della volpe curato insieme a René Collignon, altri la partecipazione a seminari e conferenze che ci avevano visti fianco a fianco). Ma la sua non era mai stata una adesione formale, e non ce ne approprieremo ora che ci ha lasciato in eredità un compito importante. La sua perdita è tale che tutt* noi del Centro Fanon la sentiamo comunque come il venir meno di qualcuno che del gruppo faceva parte eccome!
Molti di noi hanno trascorso ore accanto ai pazienti più fragili, certi di sapere che se fosse stata Manuela il perito che doveva valutarne le sensibilità e competenze genitoriali, avremmo di certo imparato qualcosa. Molti di noi hanno lavorato accanto a lei come periti di parte, seguendo l’intero procedimento valutativo, a casa, nei servizi, continuando le conversazioni in macchina e poi ancora. Non nascondiamo di avere riso con lei, e di gran gusto, quando ci ritrovavamo in sintonia, sussurrando commenti inconfessabili … e a ripensarci bene i commenti non erano in molti casi neanche troppo sussurrati. Grazie Manuela anche per queste grasse risate liberatorie!
Mai la ringrazieremo abbastanza per la generosità con cui trovava il tempo di incontrare i nostri colleghi più giovani, psicologhe e psicologi, antropologhe e antropologi che imparavano un altro modo di esercitare la professione. Da Manuela hanno certamente appreso l’essenziale.
Con lei si collaborava, da ormai più di dieci anni, mantenendo ciascuno la propria identità e le diverse appartenenze. Manuela aveva una sua traiettoria personale già ben ricca e articolata, professionalmente parlando, radicata in importanti esperienze, associative e non solo (aveva una conoscenza puntuale del lavoro nei servizi pubblici ed è inutile ricordarne il ruolo come perito per il Tribunale per i Minorenni: la sua competenza, in questo campo specifico, è davvero insostituibile, ma sappiamo che c’è chi accanto a lei stava seguendo le sue orme).
Con il Centro Fanon ha condiviso uno slancio vitale, non l’unico ma unico per noi: con te, Manuela, siamo tutt* impegnat* nella ricerca di un ascolto accurato, mai banale e soprattutto mai neutro con i tanti e le tante alle prese con il fare famiglia nelle tribolazioni della migrazione.
E non è facile lasciar andare via qualcuno con cui si intrecciavano ancora così saldamente le vite e i progetti, le parole e le cose ancora da fare e pensare. Non è facile davvero.

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